L’ira di Themis
Lascio
a voi figli miei, generazioni che seguirete questi giorni, innumerevoli
come le stelle del cielo, come le gocce di pioggia nella bufera. Lascio
a voi quanto la Somma Madre questa notte ha voluto rivelare al suo
più umile servitore.
Sono trascorsi quattro interi cicli di Lune dal giorno in cui io,
Nemesh, Primo Angelo della Dea, ho combattuto al fianco di Arlesch
il temerario, per sconfiggere assieme le forze di Simeht, i suoi orchi
e i suoi goblin.
La Madre guarda ancora a me come suo Sacerdote prediletto, dopo il
dono della mortalità umana, mi ha concesso di vedere questa
notte qualcosa che sia di monito per tutti coloro che poggeranno piede
sul suo Creato dopo di me. In sogno ho visto brillare due immense
luci che scendevano dalla Reggia dei Cieli sino alla Terra, scomparendo
dietro le colline e spegnendosi come fiamma che cade nel lago. Erano
sfere di luce candida e abbagliante, erano le due figlie gemelle della
Dea, Veddharta e Ygharù che scendevano dopo millenni sul Creato.
Il sogno era nitido, quasi fossi sveglio e seduto a guardare le stelle
sulla torre delle sentinelle, ma sono certo che è stata la
Dea a rendere così nitida la mia notte. L’immagine che
ho visto dopo mi ha turbato, la Madre Celeste avvolta di un nero drappo,
dispersa la luce del suo mantello, e solo un immenso e sterminato
fiume di lacrime che scendevano dai suoi occhi verso il regno di Extremelot,
inondando valli e montagne, boschi e radure, e il singhiozzo di dolore
come tuono incessante; solo quando ho visto anche le schiere di coloro
che furono miei fratelli, gli angeli, provare a consolare la Madre
con canti e preghiere, ho avvertito che era la scomparsa delle figlie
amate a turbare la Dea.
Questa notte la Somma Themis ha dato a me, suo umile araldo, un messaggio
per tutti voi, mi ha dato occhi nei suoi occhi, cuore nel suo cuore,
angoscia nella sua angoscia, e terrore per la sua Ira. Ho visto, e
vi narro, l’immagine della Madre in lacrime trasformarsi in
un lampo; ho visto i suoi occhi divenire brace, le sue mani candide
strappare il velo nero che le avvolgeva il volto, scoprendo i lunghissimi
capelli divenuti simili a saette. Ho visto le sue mani agitarsi, trascinando
sul Creato un terzo delle stelle del cielo. Nella sua Ira verso le
figlie disubbidienti sono cadute quattro gocce dai suoi occhi; in
sogno le ho viste cadere verso di me, ero legato a terra incapace
di muovermi, e più si avvicinavano più capivo cosa fossero
quelle quattro terribili lacrime.
Sono cadute vicino a me in un bagliore lancinante, trasformandosi
in quattro superbi cavalieri dalle nefaste armature, i cavalli grondanti
ferocia e dai paramenti infuocati. Carestia, Pestilenza, Guerra e
Morte …li ho visti portare l’Ira della Dea su tutto il
Creato,come fossi su un monte altissimo ho visto il loro scempio,
il loro percorso di dolore tra tutte le razze, li ho visti abbattere
su coloro che avevano tradito l’Amore.
I demoni, gli angeli caduti, le razze malvagie …tutti spazzati
via dalla potenza e dalla rabbia dei quattro Cavalieri. Mi sono svegliato
al massimo del turbamento, sono corso dai miei tre figli mentre dormivano
e ho pregato per loro e per coloro che li seguiranno. In me si è
compiuto ogni prodigio della Dea; l’amore eterno per le sue
Creature brilla con la falce di Luna che la Dea ha inciso sulla mia
fronte, ma questa notte ho visto l’apice della sua Ira verso
coloro che tradiranno la sua gratitudine.
Scrivo tutto questo nel Sacro libro, perché non venga mai più
dimenticato; perchè voi anime future che avrete fortuna di
leggere sappiate che io, Nemesh, in questa notte sono stato nominato
messaggero della Madre Themis.
Affinché voi sappiate che oltre all’Amore con cui siete
stati creati, oltre all’infinita Misericordia, oltre alla divina
Pazienza che hanno dato luce ad ogni vostro passo, che vi hanno generati
liberi di seguire la vostra strada, ebbene, la Dea ha racchiuso in
se nel profondo una fornace di Ira funesta. Nell’eterna lotta
contro le forze del Male, contro la perfida malvagità di Simeht,
la Dea che ci ha plasmati ha dato vita a qualcosa di terribile, di
invincibile e doloroso. Ha dato vita ad un’Ira così devastante
che quella del suo rivale Simeht sembrerà sempre il pigolio
di un pulcino. La Dea ci ha Creati liberi di seguire il bene ed il
male, liberi di portare la sua luce o di adorare le tenebre, liberi
di professare la sua Parola sublime o di infangarla con le menzogne.
Ma la Dea ha dato alla sua mano giusta e potente la libertà
di annientarci, nella Morte e nella Vita, se diventeremo iniqui portatori
di Tradimento e di Malvagità, se congiureremo contro di Lei
e soprattutto contro ogni suo figlio prediletto, ogni sua creatura
portatrice di luce.
La nascita del Fuoco Sacro
Si
narra che, agli albori del tempo, la Dea scelse una bambina di eccezionale
grazia e devozione, per farne la Sua portavoce tra i mortali. Una
bambina dall’aspetto fragile, dai lunghi capelli d’argento
e gli occhi pieni di sole: Windahwarena, colei che ha in sé
splendore.
La Veggente bambina stabilì la sua dimora in una grotta affacciata
sul mare, e lì visse celebrando i riti in onore della Dea ad
ogni sorgere e calare della Luna, per assicurare al suo popolo il
benessere e la benevolenza di Themis, e leggendo la sorte di coloro
che la interrogavano nel riflesso dell’astro d’argento
sul mare.
Finché, una notte, la Dea decise di mostrarsi alla sua giovane
figlia.
Windahwarena stava vegliando in preghiera per celebrare l’arrivo
di un nuovo anno, quando davanti ai suoi occhi prese a splendere una
piccola luce, che la sacerdotessa avrebbe potuto scambiare per una
stella del cielo, non fosse stato per la vicinanza ed il calore che
essa emanava. Lentamente la luce crebbe d’intensità,
pur senza ferire i suoi sensi, e per un attimo Windahwarena pensò
che ciò che si trovava di fronte a lei potesse essere un raggio
di sole smarrito, tanto era abbagliante. Intanto il divino splendore
danzava serpeggiando e piroettando su se stesso, nell’attesa
che Windahwarena accettasse il suo silenzioso invito. Allora la sacerdotessa
si protese verso il fuoco pulsante, e in un attimo ne fu avvolta.
Un vortice di fiamme la cinse con forza, strappandola alla realtà
e conducendo il suo spirito oltre la normale consapevolezza. Lacrime
di gioia tentare di sfuggirle dagli occhi, quando si rese conto che
la Dea era con lei, ma evaporarono prima di poterle rigare il viso
…poi non fu cosciente di altro all’infuori di ciò
che la Dea le stava mostrando.
Infine
le fiamme la lasciarono, e Windahwarena si ritrovò inginocchiata
davanti alla soglia della sua grotta, le membra pervase da un piacevole
torpore, le mani a coppa contenenti un’esile fiammella.
Con
quella piccola goccia di fuoco la sacerdotessa compì il volere
di Themis: eresse un’enorme pira, tanto grande che il fuoco
sacro che vi ardeva, vivo e impetuoso, era visibile per molte miglia.
E quando coloro che lo videro accorsero e si radunarono intorno ad
esso, Windahwarena spiegò loro che quel fuoco era un vincolo
eterno tra Themis e le sue creature, che avrebbe ispirato la loro
Fede e accolto le loro preghiere.
Insegnò, come aveva imparato dalla Madre, a comprendere i segreti
del Fuoco e ad affidargli preghiere e offerte.
In questo modo si compì il volere della Dea.
La Sorgente
Quante
volte invochiamo la Dea per cercare un rifugio e quante volte Ella
ci parla e non sappiamo cogliere i Suoi insegnamenti.
Era
un tempo lontano, in cui ancora forte era la devozione dei Figli per
Themis. Giaceva un grande lago ghiacciato, alimentato da una zampillante
sorgente, lì dove la Suprema fonte di Giustizia amava posare
il suo amorevole sguardo. Cullato da dolci colline, riparato da pareti
frondose e sempre verdi, quel lago era lo specchio della vita. Rifletteva
a Lei i colori di chi consumava la propria esistenza, breve o lunga
che fosse, e rimandando riflessi cupi, grigi, tristi, ma a volte caldi,
gioiosi, sgargianti, brevi bagliori di inimitabile intensità.
E Themis sempre osservava, in silenzio, soffrendo con i Suoi Figli
e gioendo con loro. Al limitare del fitto bosco che riparava questa
meraviglia sorgeva un piccolo agglomerato di case. Ognuna costruita
con la collaborazione degli altri abitanti ed ognuna aveva un piccolo
orticello. Certo, tutti avevano grande cura del proprio orto e se
ne vantavano anche molto. Ma c’era la festa della Prosperanza
durante la quale si faceva una lunga e ricca tavolata; le donne mettevano
ciascuna il proprio miglior piatto e si condivideva con gli altri
una parte del proprio raccolto. Tutto questo per ringraziare la Dea
generosa e per festeggiare insieme la fine di una intensa stagione
di lavoro. Una volta però accadde un fatto strano. Un uomo,
Ghèmeter, esuberante ed orgoglioso come pochi altri, si rifiutò
di partecipare alla festa.“Io ed i miei figli abbiamo
coltivato questo orto: solo a noi spetta la soddisfazione di assaggiare
questi frutti”.
Così dicendo si chiuse in casa con la propria famiglia, borbottando
tutto il giorno ed ingozzandosi, fino a stare male, del proprio raccolto.
Ma di lì a poco …egli vide inaridire il proprio orto.
Nonostante l’incessante impegno ed il grosso lavoro che su ognuno
dei suoi figli gravava, le piante non crescevano, la terra era secca
e forse nella stagione successiva non avrebbero avuto nulla da festeggiare.
La cosa strana era che anche intorno a lui le cose non andavano meglio.
Giorno dopo giorno, come una malattia contagiosa, anche la terra dei
vicini cominciò ad inaridirsi e ben presto a lui venne data
la colpa di quel terribile flagello. Diverse famiglie lasciarono il
paese, Ghèmeter e la sua famiglia erano soli …o quasi.
“Dove ho sbagliato?!” continuava a chiedersi. Una notte
in cui non riusciva a prender sonno uscì di casa. In silenzio
e di nascosto sua moglie lo seguì. Egli si recò al lago
e giunto sulla riva osservò il proprio volto nello specchio
lucido e levigato, cominciando a piangere. “Perché mi
fai questo? Perché a me? Non ho forse lavorato? Guarda le mie
mani!” a lungo si disperò, inveendo contro Themis e rimproverandola
di non aver saputo apprezzare la sua onesta dedizione al lavoro.
Allora la Dea decise di rivelarsi. La crosta di ghiaccio superficiale
si spaccò con un rumore secco. Alla luce della Luna gli schizzi
d’acqua limpida crearono una figura diafana eppur bellissima
dinanzi agli occhi dell’uomo. E la Dea parlò: “Buon
uomo …Io so bene quanto tu abbia lavorato per il tuo orto, e
quanto ti facciano male le mani alla fine di ogni giornata. Ma non
solo questo Io porto nelle Vostre vite. Hai una famiglia e degli amici
che ti amano e hai trascurato, privandoli del tuo sorriso, inaridendoli
così come è avvenuto al tuo orto. Non sei nulla da solo.
E se ancora adesso, che tu stai pensando a te stesso, non udissi il
pianto nel cuore della tua donna non ti aiuterei. Impara da ciò
che vedi intorno, fanne tesoro e fallo brillare non solo per te stesso
ma anche per gli altri.”
L’immagine scomparve in una cascata di goccioline. Intanto l’acqua
ormai libera prese a scorrere nelle crepe aride della terra, infondendo
nuova linfa ai terreni del paese. La gente pian piano tornò
ad abitare quel luogo ora rigoglioso e Ghèmeter e la sua famiglia
non furono più soli.
L’acqua
fece rinascere splendidi fiori, ma anche tanta Fede che ormai chi
era abituato a chiudersi in sé non vedeva più.
Per
questa antica leggenda, che si narra da secoli, la Sorgente è
uno dei simboli della nostra amata Dea.
Le Tre Lune
La
Madre spalancò le braccia distendendo i suoi occhi su tutto
il Creato, dalla superficie del regno di Extremelot alle profondità
cupe in cui Simeht e il figliastro Magma avrebbero per sempre covato
il loro odio ancestrale. Guardò verso ogni essere plasmato,
generato dalla sua forza di Luce o da impudichi atti di tenebrosa
meschinità; Themis si accorse che l’ordine costituito
sul suo Creato non sarebbe potuto durare in eterno, che le molte razze
esistenti avrebbero finito per tramare l’una contro l’altra,
guidati dall’istinto di potere che l’opera di Simeht aveva
indelebilmente posto nel cuore di ogni vivente. Poi la Dea volse lo
sguardo verso le sue creature più fedeli, le Tre Lune che dall’infinito
e sino all’infinito le sarebbero state a fianco: corrucciate
o vanitose, insensibili o remissive, ben lontane dall’essere
perfette tuttavia la loro obbedienza alla Madre era totale, ogni preghiera
genuina, ogni raggio della loro luce creato per dare lustro alla Creatrice
dell’Infinito.
Luri, Neft e Uri danzavano da sempre attorno al trono di Themis come
figlie e ancelle si muovono intorno alla madre e alla padrona; assorbendo
energia e forza dalle pieghe del suo mantello infinito e spargendo
poi raggi di luce verso il suo volto diafano e perfetto. La Madre
ricordò le due figlie maggiori, Veddartha e Ygharù,
quanta perfetta letizia aveva trovato in loro compagnia e quanto efferato
odio aveva provato verso Colui che le aveva traviate, portandole a
desiderare una insana e squallida impudicizia terrena.
E pensando a quanto potesse divenire potente il richiamo del mortale
nemico anche per le tre ingenue Lune, decise di vincolarle al suo
amore in una danza che fosse guida e monito per tutto l’universo;
lasciando lo sguardo dal suo Creato trovò Uri e Luri che corrucciate
tra le pieghe del suo mantello di luce si pavoneggiavano con stelle
e costellazioni brillanti e sfarzose, mentre Neft vagava cantando
insensibile al diverbio delle sorelle.
“Da
oggi sarete luce per il mio Creato, fonte di vita e di letizia, alternanza
di tenebra e luce, fiamma ardente e gelida notte. Sarete legate l’una
all’altra e tutte e tre legate al mio volere. Ciascuna si muoverà
danzando come io vi insegnerò e non potrete allontanarvi né
avvicinarvi al Creato. Porterete luce sopra ogni angolo del regno
che io ho plasmato, un giorno sarete vicinissime tra voi e il giorno
dopo lontanissime, ma mai e poi mai potrete separarvi. Sarete venerate
e ogni vita del Regno inizierà e finirà sotto di voi,
vedrete la gioia e il dolore, cullerete l’amore e l’odio
dei viventi, ne sarete la causa e talvolta la fine. Vivrete tra voi
in perfetta letizia, illuminerete i viventi della mia Grandezza e
della mia infinita Giustizia, nessun vivente capirà mai la
vostra danza e ne avrà paura, affinché sappia sempre
che Themis è Madre d’amore e Flagello giusto.”
Poi
raccolse le Tre Lune in un lembo del suo mantello e le scagliò
verso il Creato: una forza invincibile le legò a sentieri invisibili
che ruotavano senza fine intorno alla sfera abitata dai viventi. Ed
iniziarono la loro nuova vita.
Luri,
la luna bianchissima, portatrice di luce candida per rischiarare le
giornate di ogni vivente del Creato; ispiratrice di virtù cristalline,
di limpidi sentieri vitali e di missioni gloriose nel nome della giustizia.
Sempre calda e accogliente, la luce di Luri iniziò a splendere
su tutti coloro che scelsero di vivere secondo i normali moti astrali:
il giorno radioso per rendere onore alla Dea, con la grande luce di
Luri protettrice delle anime semplici, di coloro che vivono nel diafano
amore della Madre.
La
scontrosa e tenebrosa Uri, piccola Luna nera e misteriosa, così
diversa dalla sorella da esserne infinitamente attratta e divisa:
Uri divenne presto la presenza taciturna nella notte, invisibile e
silenziosa, capricciosa e dispensatrice di sogni e riposo ma anche
di incubi e ombre, angosce e paure. Invidiosa della sorella per la
sua incapacità a farsi vedere si compiacque ben presto di portare
ombra su tutto ciò che Luri faticosamente illuminava durante
il giorno, di celare la bellezza della sorella dietro al suo velo
di oscuro mistero.
Ogni
giorno però all’ alba e alla sera incontra sul suo cammino
Neft, la luna rossa, colei che per volere divino separerà sempre
il sentiero delle due litigiose sorelle, colei che porterà
equilibrio tra Uri e Luri nel loro opposto brillare capriccioso. Neft,
colei che dipinge di rosso tenue il risveglio del Creato all’alba,
che allontana la sorella oscura per chiamare a sé Luri. Neft,
colei che al tramonto disegna strisce vermiglie nel cielo, annunciando
a tutti l’arrivo della notte, meravigliando ogni volta gli animi
con pitture maestose nel cielo, riflettendosi sulle basse nubi o colorando
le montagne. Il suo destino per mano della Madre Themis sarà
per sempre quello di vegliare e dividere Uri e Luri, portando equilibrio
nelle luci di ogni giorno, abbracciando l’una e nascondendo
l’altra, timida nel suo breve apparire per pochi attimi nel
cielo ma certa di lasciare un segno nel cuore di chi la vede sorgere.
La gioia di poter essere sempre al centro delle sorelle, ma anche
la certezza di doverne sopportare follie e vanità, fino al
giorno in cui, la Madre lo ha scritto nei Cieli, la loro strada le
riunirà di nuovo per brillare assieme sopra il giardino delle
anime gradite a Themis; il giardino dove non esiste la notte.
Nuova Vita
Al
tempo in cui il mondo era ancora bambino, seduta sul suo scranno d’argento
Themis vegliava, sull’Arazzo della Vita, uno splendido disegno
che andava facendosi con colorati fili di Tempo, d’Amore e di
Odio.
Mentre
osservava, si avvide ad un tratto che alcuni fili erano stati tagliati,
lasciando incomplete parti del disegno, privato così della
sua perfetta armonia.
La causa di tale imperfezione non era altri che Simeht: con il suo
vile potere e per mezzo dei suoi servitori, aveva interferito nel
corso degli eventi, privando della vita alcune creature che ancora
non avevano terminato di tracciare la loro linea nel disegno. Poiché
Themis, pur nella sua grandezza, non poteva annientare del tutto le
forze del malvagio fratello, cercò altrove un rimedio.
Cercò, e il suo sguardo si fermò su delle creature che
le avevano giurato obbedienza, Chierici che portavano nel mondo una
parte del Suo potere. E a costoro così parlò:
«A
voi, che plasmate la Fede in potere, farò un grande dono, affinché
possiate servirmi e servire i vostri fratelli nella lotta contro le
forze del caos.»
Con
queste parole affidò ai Chierici il potere di strappare alla
morte le anime di coloro che Le sono devoti e di ricongiungerle ai
corpi, tramite la forza della Fede.
Cercò ancora nei boschi, dove le creature attingono la vita
direttamente dalla Terra, e vide dei Saggi, conoscitori e fruitori
dei poteri della Natura. A loro affidò il potere di rianimare
i corpi dei suoi figli più selvaggi, i Mannari, che vivono
e dipendono da essa.
Cercò ancora nel buio, e scorse figure incappucciate e oscure,
figli e servitori della Nera Signora. A loro, i Necromanti, diede
il potere di ricondurre al mondo le creature che vivono nelle tenebre,
utilizzando la forza della Morte stessa.
Allo stesso scopo, diede ordine al figlio di Simeht, Ade, di aprire
le porte della sua Dimora, per permettere il passaggio alle anime
richiamate e gli concesse l’ausilio di servitori, affinché
avessero cura delle anime strappate alla vita precocemente.
In
questo modo, Themis garantì che non vi fossero fili spezzati
e che l’armonia regnasse nello splendido arazzo. In questo modo,
Simeht venne un’altra volta sconfitto.
Il sogno di Luriwen
Un
bagliore intenso …come sempre accecante. È così
che mi chiama: una voce vibra, è un suono potente e dolce allo
stesso tempo. Eppure, non ricordo mai le parole esatte, non riesco
a metterne insieme i pezzi. -… Madre… - nel sonno inconsciamente
muovo le labbra, rispondendo alla Chiamata. Ancora una volta, ancora
un viaggio da affrontare. Gioia per la mia anima, sofferenza per il
mio corpo.
Ecco, il bagliore si attenua …ma non La vedo.
Non posso vederLa perché Ella E’.
E’ presente, la sento.
Il cuore impazza ...devo calmarmi, devo ascoltare. Non mi trovo in
una stanza qualunque: è solo uno spazio, non definito, nel
quale avverto la Sua presenza. Ed io mi beo di questa sensazione.
Anche se poi boccheggio come a voler prendere tutta l’aria possibile,
in ginocchio, poggiando le mani a terra. C’è, e aspetta
solo che io mi metta in ascolto. -… Madre… - ancora ansimo.
Un ultimo respiro profondo ed ecco trovo il coraggio e la forza di
socchiudere gli occhi.
Levo le braccia al cielo, il mio corpo prega, la mia anima ora non
ha segreti. Ora si, posso ascoltare. Mentre rimango così, in
attesa della Sua Parola …ecco lo scenario cambia. Fulminee immagini
si susseguono rapidamente nella mia mente, mentre vengo travolta al
centro di un forte vortice di vento. Porto le mani alla testa, stordita.
Mi accascio nuovamente. Non posso farcela stavolta. Troppo forte è
la sensazione. All’improvviso tutto cessa e la pace mi avvolge.
Risate spensierate, riflessi della felicità più pura,
mi raggiungono. Risate argentine e baritonali, che si mescolano in
una dolce musica, appagano il mio udito. Dischiudo lentamente gli
occhi …mi trovo immersa nello splendore. Figure dorate volteggiano
intorno a me, intrecciando danze e canti di gioia.
Per un attimo desidero ardentemente di poter restare in questa valle
lussureggiante, dove tutto sembra più vivo e dove regnano colori
sconosciuti ai miei occhi. Ma poi ricordo di avere ancora un corpo
ed una vita mortale ad attendermi. Questo luogo sarà il mio
premio, se continuerò ad operare il volere di Themis. Sì,
un giorno anch’io danzerò assieme a queste anime luminose,
condotte alla beatitudine dalla luce della Dea. E non conoscerò
altro che la felicità perfetta. Prendo congedo con un sorriso
dalla mia promessa, poi un lampo, e la visione scompare. Mi sento
risucchiare verso il basso, sempre più forte. Raccolgo ancora
il richiamo e guardo …Un’altra visione si realizza così
sotto i miei piedi: è questo il posto, è qui che si
perdono i miei figli. Uno squarcio nella terra, profondo, infuocato.
È un taglio doloroso, eppure nessuno lo vede. Un pianto lontano
mi accompagna nella caduta. Cado, precipito, colgo la profondità
di questo abisso, percepisco il dolore delle anime dannate per sempre
che urlano il proprio strazio. Bramano la Luce, si spengono sotto
il peso della sofferenza che da sole hanno alimentato dentro di sé,
prima che negli altri. La povertà di sentimenti puri li ha
condotti qui, la barriera che hanno costruito per allontanare dal
proprio gli altri cuori ora gli impedisce di liberarsi, di redimersi.
Il male richiama solo altro male. E dunque la loro agonia continua,
in un luogo senza tempo dove l’oblio ricopre tutto del suo oscuro
manto. Intanto piango, addolorata ed incapace di fare qualsiasi cosa.
Ma in fondo, non sono io che posso fare qualcosa. Mi è solo
stato concesso di vedere …di ricordare, e trasmettere. Questo
è il mio compito.
Finché avrò voce raggiungerò anche l’ultimo
dei tiranni nel, forse vano, tentativo di salvarlo. Ma da sola non
posso. Gli emissari della mia parola giungeranno là dove io
non posso arrivare...
Stremata e madida di sudore termino la caduta con un tonfo nel mio
letto. È finita. Anche questa volta.
La Chiamata dei Cavalieri
Erano
passate migliaia di lune dalla creazione del Creato, e moltissime
lune dalla discesa in terra dei quattro Cavalieri dell’Apocalisse
inviati da Themis: Carestia, Pestilenza,Guerra e Morte avevano fatto
scempio delle forze ribelli, ma niente ormai nel Creato era più
stato sereno, nessun angolo poteva più dirsi veramente in pace
sotto la volontà divina.
La Dea, osservando il mondo di Extremelot, si avvide che la malvagità,
l’odio e la violenza predicate dalle creature di Simeht trovavano
terreno sempre più fertile ed attecchivano nelle menti e negli
animi delle persone: tra gli abitanti di Extremelot erano sempre di
più quelli che si allontanavano dalla Dea, dimenticandone gli
insegnamenti e trascurandone il culto.
Allora la Dea guardò i suoi figli, e tra di loro ne vide alcuni,
assai pochi, che possedevano ancora un cuore puro; parlò alle
loro menti, apparve loro sotto forma di luce e li chiamò Sommi
Sacerdoti e Somme Sacerdotesse. A costoro, pochissimi, la Dea affidò
il compito di diffondere la Sua parola e di riportare tra la gente
il Suo culto; si misero subito al lavoro, predicando tra la gente
ed istituendo cerimonie e feste in onore della Dea.
Quando Simeht vide che il culto di Themis stava tornando a fiorire,
dette un nuovo e più feroce impulso alle sue malefiche creature:
coloro che portavano in Extremelot la parola della Dea dovevano essere
uccisi. E così orchi, goblin e ogni sorta di mostro generato
dal male, si misero in cerca dei Sommi Sacerdoti. Presto la loro opera
di morte era quasi portata a termine: molti furono uccisi e trucidati,
finché non rimase in Extremelot una sola Somma Sacerdotessa,
la più giovane di tutte, la piccola Jouane. Ma la sua vita
era continuamente minacciata, sempre in fuga, incapace di fidarsi
se non della parola della Somma Madre; confinata in un eremo sperduto
e irraggiungibile sulle montagne. La sua disperazione era al culmine,
il suo desiderio ardente era quello di portare la parola divina tra
le genti, in mezzo a quel popolo che vagava nelle tenebre del caos
e dell’anarchia, dell’indifferenza, della violenza sui
deboli e sul rifiuto dell’autorità Celeste e Suprema.
Pianse
amaramente la giovane Jouane, pianse per giorni e per notti, pianse
implorando Themis di darle la forza di uscire e di gridare a tutti
che solo nella Dea era l’amore eterno, solo nella Dea la vita.
E pianse, perché si accorse di non avere le armi per portare
la Legge divina nel mondo, per essere esempio vivente di ciò
che ogni anima avrebbe dovuto fare per elevarsi alla perfezione. Themis
vide la sua devozione, il suo coraggio, la sua umile ma incrollabile
fede; e volle elevarla a esempio per tutti i viventi.
«Non sarai più sola»
le disse in sogno un angelo
«presto la Dea darà un segno grande della
sua potenza a tutti i viventi, sarai guida e faro perfetto per le
genti, porterai la legge dolce e sublime della giustizia, ma sta serena,
non sarai più sola».
Passarono
circa cinque cicli di luna senza che Jouane vedesse altri segni, ancora
immersa nella solitudine della montagna, devota in preghiera cercando
di capire il messaggio che l’angelo le aveva portato. Ma la
Madre Themis aveva ormai steso la sua mano in ogni angolo del cielo
e della terra: angeli trasformati in viandanti calcavano ogni sentiero
che conducesse ai paesi, ai borghi di tutte le razze. Annunciavano
una grande notizia, professavano che il cielo sarebbe caduto sulla
terra se anche un solo essere vivente avesse mancato al richiamo che
la Dea faceva. Tutti udirono parlare quegli strani viandanti, così
umili eppure così convincenti, molti credettero e si preparano
anche a lunghissimi viaggi, "…Perché la Dea avrebbe
parlato" ripetevano tra loro. Ma molti non credettero, cacciarono
a malo modo i nuovi giunti, imprecarono contro gli stranieri portatori
di profetiche notizie, continuarono le loro orge e aberrazioni. E
di nuovo la Dea stese la mano, segni grandi nel cielo apparvero su
di loro, piogge di stelle infuocate, inondazioni e terremoti; anche
le tre Lune parvero impazzite, con Neft che oscurava il cammino di
Uri e Luri che a sua volta si sostituiva alla rossa sorella, facendo
impazzire gli uomini e gli animali, le piante e gli uccelli tutti.
Ogni vivente comprese che la Dea stava parlando, e tutti intrapresero
il lungo viaggio. Perché il tempo era vicino. Un brusio sommesso
e crescente destò Jouane quando Neft ancora non era apparsa
nel cielo. Dette nuova vita al Sacro braciere che ormai da anni illuminava
la sua piccola dimora, primo gesto quotidiano della sua vita eremitica.
Poi schiuse la porta e fu investita da un vento tiepido, e subito
si accorse che il brusio stava salendo ancora, ma non era nel vento.
La vallata sotto di lei si estendeva a perdita d’occhio, molte
volte aveva guardato il sole sorgere su quella distesa così
ampia e grandiosa, ma quella mattina si accorse subito che qualcosa
era diverso; ovunque i suoi occhi potessero arrivare, sia sul fondo
della vale che lungo le colline che la circondavano, tutto si muoveva
come fosse divenuto vivo, fiumi ancora oscuri sembravano scendere
lentamente dai valichi per riversarsi nella grande piana. La luce
di Neft giunse all’orizzonte, infilandosi tra le vette dei monti
e le nubi plumbee che formavano una volta bassa e minacciosa sulla
testa della piccola Sacerdotessa; al primo raggio dell’aurora
il brusio esplose in frastuono, quelli che sembravano fiumi accelerarono
il loro moto, e Jouane capì che la Somma Madre aveva chiamato
a raccolta ogni essere vivente del Creato, e lo aveva messo nelle
sue candide ed umili mani. Neppure cento gabellieri avrebbero potuto
contare quella moltitudine immensa, ogni razza, ogni clan, dalle nazioni
vicine e lontane, dai mari sperduti e dalle montagne; i nani erano
usciti dalle miniere, gli elfi dai boschi, gli uomini avevano aperto
le mura delle città. Tutti assieme avevano udito e visto segni
che solo la Divina Themis avrebbe saputo compiere, ed erano là
per udire il messaggio che lei, Jouane, oracolo della Dea, avrebbe
loro rivolto. Un cerchio di nubi sul suo capo si dissolse, dal cielo
scesero schiere di angeli cherubini, angeli serafini ed avventori,
e si disposero in un ampio e luminoso semicerchio, a destra e a sinistra
dell’incredula bambina.
Un
tappeto di soffici nubi si era formato davanti a lei, come un palco
su cui avanzare per meglio vedere l’intera vallata che si muoveva
lentamente come fili d’erba sotto la brezza. Mosse alcuni passi
in avanti camminando sulle nubi candide, e subito sette magnifici
angeli la seguirono, tre alla sua destra e quattro alla sua sinistra:
portavano vesti splendenti bianche rifinite in oro, con spade di luce
al loro fianco e ali grandissime striate di azzurro. Jouane si fermò
sul bordo, sollevò le mani verso l’alto e ogni essere
vivente rese omaggio alla Dea e alla sua prescelta mettendosi in ginocchio
in preghiera. Nessuno più dubitava. Un raggio di luce filtrò
dalle nubi e illuminò i volto della giovane Sacerdotessa, adesso
in lei le nebbie del dubbio e della paura si erano dissolte, il disegno
divino si era rivelato nel suo cuore e tutto le appariva nitido. Appena
le sue braccia si abbassarono, i sette angeli messaggeri planarono
verso valle, lasciarono lunghe scie luminose e quasi scomparvero alla
vista di Jouane, tanto era grande l’orizzonte avanti a lei.
Ciascuno degli angeli si posò sul terreno, là dove la
Dea aveva ordinato, al fianco di sette anime prescelte, sette servitori
chiamati dalla Dea e giunti sotto la guida delle stelle. Ogni messaggero
prese per mano l’anima prescelta e senza alcuno sforzo le sollevarono
in volo ritornando verso la Sacerdotessa; il brusio delle genti aumentò,
il segno si stava compiendo e tutti dimenticarono le fatiche del viaggio.
Jouane non parlò neppure quando i sette prescelti furono in
fila in ginocchio e a capo chino dinanzi a lei; la Sacerdotessa si
avvicinò al primo angelo messaggero, che subito le porse una
piccola ampolla di cristallo azzurro. Si avvicinò all’uomo
in ginocchio davanti a lei,primo dei prescelti, versò il contenuto
dell’ampolla sul suo capo e subito i suoi logori vestiti si
trasformarono in una cotta di lucente metallo argenteo. Stese poi
la mano verso il prescelto toccandogli la fronte, e subito sulla cotta
argentea comparve il simbolo della Dea, la falce di luna azzurra;
bella e lucente come nessun fabbro artigiano avrebbe saputo forgiare,
la cotta del Cavaliere risplendeva a raggi di sole sgorgavano come
una sorgente dall’alto.
Jouane poi passò al secondo prescelto, facendosi passare l’ampolla
dal secondo angelo e ripetendo gli stessi gesti sacri, e così
fece per tutti e sette. Adesso le cotte brillavano fiere alla luce,
con al centro la falce di luna, occhio divino e protettore, sull’intera
vallata stracolma di anime estasiate. La Somma Sacerdotessa guardò
i sette Cavalieri della Dea Themis, si compiacque e ringraziò
nel suo cuore la Madre celeste, ma ancora non proferì verbo;
non tutto era compiuto, il messaggio che doveva dare doveva rimanere
di monito per tutte le genti. Sollevò di nuovo le braccia al
cielo, e di nuovo l’intera folla si inginocchiò in silenzio,
le nubi continuavano a coprire come una volta plumbea la valle, lasciando
però che il sole rendesse luminosa la scena agli occhi di tutti.
Sette angeli serafini avanzarono e si disposero in fila davanti ai
Cavalieri, formando una specie di corridoio per la Somma Sacerdotessa;
sorreggevano ciascuno un cuscino di seta finissima damascata in argento,
e ciascun cuscino sorreggeva un bracciale d’argento finemente
cesellato.
Jouane avvolta di luce parlò per la prima volta, la sua voce
risuonò calda e profonda in tutta la valle, senza che ella
dovesse gridare, ogni essere vivente poté udirla come fosse
al suo fianco:
«Divina
Themis, che hai spiegato la potenza del tuo amore, che hai radunato
qui i tuoi figli da ogni angolo di Extremelot, benedici questi bracciali
che i tuoi Cavalieri porteranno sino alla morte, simbolo del tuo amore
infinito e della nostra eterna fedeltà alla tua parola. Questi
tuoi sette araldi saranno da oggi esempio vivente per tutti,fiamma
viva nel buio, porteranno in tutto il Creato i tuoi Sacri principi,
su cui hai fondato la tua Giustizia e la salvezza delle anime per
ammetterle alla tua luce. Questi sette Cavalieri, che tu hai scelto
con occhio di Madre, siano in vita la Tua perfetta Parola viva, fa
che proteggano i tuoi Sommi Sacerdoti, che a loro volta li guideranno
nel difficile cammino che si apprestano a percorrere. Saranno luce
per le genti nel loro cammino terreno, e giudici perfetti ai cancelli
delle tue dimore celesti. Su questi sette Sacri principi, saranno
pesi perfetti e incorruttibili sulla bilancia del tuo amore: questi
bracciali diverranno strumento di giudizio per tutti coloro che dopo
questa vita terrena saliranno verso i giardini eterni che Themis ha
preparato per i suoi figli».
Poi,
prendendo il primo bracciale si volse di nuovo verso l’uomo,
allungò la mano verso il braccio proteso del Cavaliere e fece
indossare il gioiello; Jouane sorrise compiaciuta vedendo la perfezione
con cui si adattava al polso dell’uomo.
"Cavaliere
Eliard, ricevete questo bracciale come eterna alleanza con la Dea
Themis. Su di esso è incisa una rosa blu simbolo del Rispetto
di cui sarete l’Araldo, esempio prezioso in vita e per l’eternità".
La Sacerdotessa Jouane passò oltre, prese il bracciale dal
secondo cuscino e guardando verso il secondo prescelto disse: "Cavaliere
Acate, ricevete questo bracciale come eterna alleanza con la Dea Themis.
Su di esso è incisa una fiamma ardente,simbolo della Devozione
alla Dea,di cui sarete l’Araldo, esempio prezioso in vita e
per l’eternità".
Mentre parlava, investendo i Cavalieri della loro nuova missione,
Jouane vedeva nei loro occhi una forza crescente, un fiume in piena
di energia e fede, dono della Madre sopra ogni altro dono, sorgente
inesauribile e necessaria per non cedere mai alle tenebre. "Cavaliere
Andreios" ripeté guardando il terzo prescelto:"Ricevete
questo bracciale come eterna alleanza con la Dea Themis. Su di esso
è incisa l’immagine di un lupo, simbolo del Coraggio
di cui sarete l’Araldo, esempio prezioso in vita e per l’eternità".
Poi fu la volta del quarto Cavaliere: "Cavaliere Belen, ricevete
questo bracciale come eterna alleanza con la Dea Themis. Su di esso
è incisa l’immagine di un cavallo, simbolo del Sacrificio
di cui sarete l’Araldo, esempio prezioso in vita e per l’eternità".
Nessuno nella valle si era allontanato di un solo passo; tutti seguivano
il rituale e lo ascoltavano trepidanti increduli erano coloro che
fino a quel giorno conoscevano uno dei sette prescelti o che comunque
avevano viaggiato con lui per molti giorni prima della grande adunanza.
"Cavaliere Ethlinn, ricevete questo bracciale come eterna
alleanza con la Dea Themis", Jouane
si accorse che la donna stava piangendo dalla gioia, interruppe per
un attimo le sue parole e nel brusio della vallata le accarezzò
il volto, prima di donarle la sua nuova vita:"Su di esso
è incisa una cornucopia, simbolo della Generosità di
cui sarete l’Araldo, esempio prezioso in vita e per l’eternità".
Il sesto Cavaliere era un’esile fanciulla: "Cavaliere
Fotla, ricevete questo bracciale come eterna alleanza con la Dea Themis.
Su di esso è incisa un’incudine, simbolo dell’Umiltà
di cui sarete l’Araldo, esempio prezioso in vita e per l’eternità".
All’ultimo Jouane si trovò dinanzi un anziano uomo, gracile
e sorridente;certo non avrebbe saputo proteggerla forse in senso fisico,
ma conosceva bene la sagacia e la forza d’animo, lo spirito
ottimista con cui affrontava ogni situazione. "Cavaliere
Fingal, ricevete questo bracciale come eterna alleanza con la Dea
Themis. Su di esso è incisa una bilancia, simbolo della Temperanza
di cui sarete l’Araldo, esempio prezioso in vita e per l’eternità".
Quando anche l’ultimo Cavaliere ebbe ricevuto il simbolo dell’appartenenza
alla Dea, gli angeli si levarono in volo e scomparvero dallo squarcio
di sole sopra di loro, il cielo si schiarì pian piano e venti
caldi dall’oriente spazzarono via le nuvole rimaste. Si avvicinava
la stagione calda, i primi germogli stavano comparendo sugli alberi
stremati dall’inverno.
La Somma Sacerdotessa Jouane, avvolta nel suo bianco mantello con
i simboli della Dea Themis, la falce di luna a centro, la sorgente
a sinistra e il sacro fuoco a destra, alzò le braccia un’ultima
volta verso la vallata, e subito tutti ripresero la lunga via che
li avrebbe condotti alle loro terre. La ragazza invece, con i sette
Cavalieri, entrò nel capanno, e gettando ramoscelli di acero
e bacche di ginepro profumato nel Sacro Braciere, iniziò a
pregare con i suoi nuovi servitori.
Coraggio
Viveva a quei tempi un valoroso guerriero, famoso per il suo coraggio
e per la sua lealtà, di nome Andreios; tutti lo consideravano
invincibile, ovunque si cantavano le sue gesta e le sue imprese. Ma
Andreios non si curava di ciò che si diceva di lui e viveva
ramingo, lontano dalla fama; infatti, non per gloria combatteva, ma
per portare giustizia e per difendere i diritti dei più deboli.
Da piccolo, Andreios aveva perso tutta la famiglia... suo padre e
sua madre erano stati uccisi dagli orchi, per un caso era riuscito
a salvarsi; ma, nella sua mente, quelle immagini di violenza e crudeltà
erano rimaste impresse. Da quel giorno aveva deciso di dedicare la
sua vita alla lotta contro il male ed alla protezione degli indifesi.
La Dea vide Andreios e lesse la tristezza, la lealtà ed il
coraggio che erano nel suo cuore. Così gli apparve sotto le
sembianze di una fanciulla di luce e gli disse:
«Valoroso
Andreios, inchinati a me! Io ti ho scelto, sarai uno dei miei sette
Cavalieri e vestirai l’armatura sacra, per difendere la Somma
Sacerdotessa e per portare la mia parola.»
Pose
la sua eterea mano sul capo dell’uomo,in un gesto benedicente,
e proseguì:
«Sarai
simbolo vivente del Coraggio. Chiunque sia animato dalla Fede in Me
alla tua vista non si scoraggerà mai, non conoscerà
la paura; sarai portatore di rinvigorito morale e nuova forza in chi
combatte per il bene.»
Andreios
si inginocchiò e chinò il capo, annuendo. Quindi la
Dea scomparve in un turbinio di scintille dorate. Andreios, senza
indugiare un istante, indossò l’armatura e, guidato dalle
stelle, si diresse in cerca dell’Ultima Sacerdotessa.
Umiltà
Si narra di una giovane donna, chiamata Fotla, nata
da nobile e ricca famiglia. Fin da piccola era stata cresciuta secondo
le usanze della nobiltà, istruita e abituata ad una vita agiata
e nel lusso. Intorno a sé sentiva il disprezzo per la povertà
e per quella gente che doveva lavorare da mattina a sera, curva sui
campi, incolta, rozza, si diceva; per questo la tenevano chiusa nel
castello, per paura che il mondo esterno potesse sciuparla. Ma lei
aveva un cuore sensibile, dalle finestre osservava il mondo circostante,
sognando di riuscire, un giorno , ad uscire da quelle mura. Così,
un bel mattino, si tolse le sue ricche ed eleganti vesti per indossarne
di umili e semplici e si nascose su un carro che andava al mercato.
Vide la gente povera, i loro volti provati ma sereni, i loro sguardi
vivi, i loro sorrisi, la loro semplicità. Capì che quello
era il suo mondo, quella era la sua vita: rinunciò alla sua
ricchezza, abbandonò tutto ciò che aveva, non tornò
più al castello. Partì per un villaggio vicino e da
quel giorno visse lavorando e guadagnandosi il pane alla giornata.
Sapeva leggere e scrivere, aveva una cultura e decise di insegnarla,
di istruire le persone che aveva intorno per dar loro la possibilità
di una vita migliore; mise le sue braccia al servizio della terra,
lavorando per aiutare vecchi e spossati contadini; vendette i gioielli
che aveva per aiutare i poveri; col suo mantello coprì gli
ammalati. La Dea vide Fotla , le apparve in sogno e le parlò:
«Fotla,
il tuo cuore è grande, ed immensa è la tua umiltà;
tu sarai un Mio Cavaliere. La tua vita, il tuo agire, saranno un esempio
per tutti; vestirai la Sacra Cotta e, in Mio nome, aiuterai i bisognosi
e i sofferenti, senza arroganza né presunzione. L’umiltà
sarà la tua stella; grazie al tuo luminoso esempio, anche i
cuori più duri si faranno comprensivi e sensibili».
La
giovane donna si svegliò emozionata e, spinta dalla bramosia
di rendere atti le parole delle Dea, partì nel cuore della
notte seguendo la sua stella.
Temperanza
Si racconta che, in un tempo antico, vivesse un vecchio di nome
Fingal, un vecchio molto saggio e di grande esperienza. La
vita non era stata molto generosa con lui, o, per lo meno, lo era
stata solo fino ad un certo punto. In gioventù aveva conosciuto
l’amore, ma la sorte e l’ingiustizia degli uomini glielo
avevano sottratto; molto spesso aveva assistito alla violenza di chi
lo circondava ed aveva dovuto affrontare l’ira di persone avide
o suscettibili. Ad ogni ostacolo che la sorte gli metteva davanti
non si fermava, ma continuava per la sua strada, uscendone più
forte e più saggio nell’animo. Persona riflessiva, aveva
imparato a controllare i propri istinti e le proprie reazioni, riuscendo
così a non perdere la calma e la ragione in nessuna situazione.
Era per questo che riusciva a superare ogni avversità, perchè
sapeva sempre come comportarsi. Chi lo conosceva ammirava la sua temperanza
e lo indicava come persona fuori dal comune... questo vecchio magro
e canuto ma con una grande, immensa forza interiore. La Dea da sempre
osservava Fingal e vedeva come riusciva a dominarsi e ad essere sempre
lucido; decise che egli doveva essere uno dei Suoi servitori, perchè
divenisse un esempio per tutti. Così, apparve davanti a lui
come un raggio di luna e gli parlò:
«Fingal,
la tua temperanza è esemplare; saggio e forte è colui
che , in ogni momento, riesce a controllare se stesso e le proprie
reazioni. Tu sarai un mio Cavaliere e vestirai la Sacra Cotta; la
Temperanza sarà la tua guida e ti proteggerà dai tentacoli
del male».
Il
vecchio non si scompose, chinò il capo in segno di rispetto
e devozione ed ascoltò le parole della Dea; quando Ella scomparve,
raccolse le sue cose e, silenzioso e deciso, si mise in cammino, per
eseguire il volere della Dea.
Sacrificio
In un villaggio di Extremelot vivevano molte famiglie di contadini
ed artigiani; la gente viveva in semplicità, senza ricchezze,
ma ciò che la terra dava bastava a vincere la fame. Un giorno
un perfido Demone capitò in quel villaggio e, tra lo stupore
e la paura delle genti, che mai avevano visto una simile spaventosa
creatura, cominciò a far razzie e a privare quella gente del
frutto del proprio lavoro. Nel villaggio calò un clima di tensione
e paura: si temeva che il demone potesse tornare, ed era così
forte che sarebbe stato difficile difendersi. Il Demone non tardò
a tornare e cominciò a farsi vedere sempre di più; giungeva
volando, nero e tenebroso, e rubava le poche cose che quella gente
aveva, uccidendo chi gli si opponeva. Gli abitanti del villaggio si
riunirono e si formò una delegazione col compito di tentare
una difficile mediazione col demone. Vi era un giovane, Belen,
figlio del capo del villaggio e ultimo di cinque fratelli, che aveva
visto un suo fratello massacrato dal terribile demone; la scena lo
aveva profondamente segnato, lasciando in lui un senso di tristezza,
ma anche di impotenza davanti al fato. Il pensiero della morte di
una persona cara e della sofferenza che tale episodio aveva lasciato,
fece nascere in Belen il desiderio di opporsi in ogni modo possibile
perchè simili situazioni non tornassero a verificarsi, perchè
ciò che era capitato a lui non colpisse anche altri, magari
più giovani o più sfortunati. Il demone face sapere
che avrebbe lasciato in pace quella povera gente solo se gli avessero
consegnato la vita di uno dei giovani più valenti e importanti
del villaggio. Così, pensando a tutti i suoi compaesani, alla
sorte di bambini e giovani cui si prospettava un futuro pieno di sofferenze
e dolori, alle madri in ansia per la sorte dei figli, si presentò
alla delegazione incaricata di tenere i rapporti col demone e si offrì
come mediatore: lui, il figlio del capo del villaggio, si sarebbe
offerto alla terribile creatura, in cambio della libertà del
villaggio.
La decisione colse impreparati i saggi, ma , vista la difficile situazione,
non ostante un’iniziale opposizione, poi ci si decise per questa
soluzione. Belen si incamminò, col volto contratto e duro,
cercando di nascondere la paura e raggiunse il luogo pattuito con
la creatura. Solo, disarmato, pronto a sacrificarsi per il bene della
sua gente. Con un agghiacciante urlo, il demone si presentò,
in tutta la sua forza e malvagità; si atterrò vicino
a Belen e cominciò a scrutarlo, con aria avida. Ma la Dea vide
e lesse nel cuore del giovane; notò la sua nobiltà d’animo,
comprese la sua sofferenza passata e la sua paura, nonché il
grande amore per tutti i suoi simili; la Dea ammirò quello
spirito di sacrificio, così raro e prezioso. Così, commossa,
con la sola forza del Suo sguardo trasformò la terribile creatura
in una coloratissima farfalla e parlò al giovane, incredulo
e stupito:
«Belen
, lo spirito di Sacrificio che hai dimostrato ti rende nobile d’animo
e grande di cuore; tu sarai un mio Cavaliere e da oggi mi servirai.
L’arma che impugnerai per servirmi sarà il Sacrificio,
non abbandonarla mai; è un’arma assai pregiata e forte,
perchè animata dalla nobile volontà di donare se stessi.»
Poi
svanì, lasciando nella mente di Belen ben impresso il cammino
della luce.
Generosità
Fin dai tempi antichi si tramanda il racconto della vita di Ethlinn,
donna dal nobile animo e dal grande cuore. Ethlinn trascorse la sua
infanzia felicemente, osservando il mondo con curiosità ed
interesse, crescendo tra le cure dei familiari, in condizioni agiate:
per questo, si riteneva fortunata rispetto a molti altri suoi coetanei.
Divenuta una giovane donna, cominciò a pensare di poter finalmente
concretizzare il sogno che aveva coltivato da piccola: condividere
con gli altri i suoi beni, la sua gioia, convinta che il valore di
qualsiasi cosa è ben maggiore se condiviso con altri. Ethlinn
si guardò intorno, cercò e vide i volti della gente,
osservò le loro fatiche, le loro piccole gioie, le loro giornate;
soprattutto notò le loro necessità e si adoperò
per aiutare tutte le persone bisognose. Di una cosa era convinta:
avrebbe dedicato la propria vita agli altri, a chi era più
sfortunato di lei, a chi aveva bisogno di lei, perchè questo
era il fine più nobile della vita. Molte furono le persone
aiutate da Ethlinn e lei nulla chiedeva in cambio, le bastava vedere
quei volti ritrovare il sorriso, la più grande ricompensa per
lei. Ma il tempo passava e Ethlinn invecchiava, mentre i suoi beni
andavano esaurendosi... così finì col ritrovarsi vecchia
e senza quasi più nulla, ma si sentiva più ricca di
prima; adesso che non aveva più soldi, aveva però un
tesoro inestimabile: portava nel cuore i sorrisi di tutte quelle persone
ed aveva la loro riconoscenza. Tutti ora aiutavano quella nobile donna,
che tanto aveva fatto per loro. Un giorno Ethlinn, mentre rifletteva
seduta in silenzio, vide comparire davanti a sè una scintilla
di luce e udì una voce profonda:
«Ethlinn,
hai dedicato la tua vita alla felicità degli altri, il tuo
animo è nobile ed il tuo cuore generoso; tu sarai un mio cavaliere
e porterai la mia parola fino alla fine dei tuoi giorni. Come io appagherò
tutti ogni tuo bisogno, possa tu prodigarti per non far mancare nulla
ai tuoi fratelli. Segui le stelle e và dove ti porteranno!»
La
donna, superato lo stupore e l’incredulità si sentì
come ringiovanita, e subito si incammino verso il realizzarsi del
suo destino.
Rispetto
Si narra di un tempo in cui esisteva un regno di pace, in tale regno
viveva Eliard, egli era un uomo benestante e di poche
pretese, dotto nelle arti e nella politica. Lo stato di agiatezza
di Eliard gli permetteva di decidere liberamente del suo tempo e quindi
ad un certo punto della sua giovane vita decise di osservare le genti
che vivevano nella sua città. Da prima frequentò gli
ambienti nobiliari, a cui aveva libero accesso, notando lo sfarzo
e la vita serena di cui ne godevano i membri.
Con il passare del tempo si rese conto che vi erano anche altri ambienti
meno privilegiati, quindi vestito da ramingo iniziò a percorrere
le vie delle botteghe e degli alloggi, qui scoprì un altro
genere di vita e altre razze, che tra i nobili non aveva mai visto.
Ogni giorno Eliard tornava tra queste genti portando il suo sapere
ai giovani dell’una o dell’altra razza, un cambiamento
era avvenuto in lui e sentiva il bisogno di donare la sua opera a
chi ne avesse bisogno. Vi erano giorni in cui insegnava, giorni in
cui portava cibo e vestiti nelle case di chi non aveva mezzi e giorni
in cui discuteva con le guardie per convincerle a non trattare con
differenza i ricchi ed i poveri, gli umani e i non umani.
Un giorno camminando per la città si avvide di un uomo di nobile
aspetto che percuoteva senza ragione un anziano drow, il drow stava
proteggendo una donna elfa con la figlioletta. Senza riflettere raggiunse
il gruppo fermando la mano del benestante e chiedendo ragione di questo
atto con parole pacate e gioviali. In tutta risposta venne allontanato
in malo modo, mentre il vecchio drow e le elfe venivano condotte in
cella dalle guardie.
Eliard meditò sull’accaduto e si imbatté nuovamente
nel ricco uomo, che si stava vantando della sua azione nei confronti
dei tre poveri arrestati, aggiungendo che da quel gesto ne avrebbe
tratto profitto. Il giorno seguente Eliard indossò i suoi abiti
nobili e si recò presso il tribunale, dove chiese di poter
difendere il drow e le due elfe. Per questo gesto venne deriso e insultato,
ma non si arrese e continuò fino al giorno in cui i tre furono
liberati e il ricco signore arrestato. Lo stesso giorno una freccia
lo colpì alle spalle, mentre camminava tra la gente povera
che tanto amava. Molti accorsero al suo capezzale e udirono Eliard
raccomandarsi che ognuno vivesse in armonia con il suo vicino, fosse
esso uomo, elfo, drow, ricco, povero o altro. Mentre il suo respiro
stava per scemare una luce intensa lo avvolse e una rosa blu prese
forma sul suo petto accompagnata da una voce di donna limpida e pura.
«Eliard
la tua vita è iniziata nella cecità, ma hai saputo scoprire
la forza che viene dal rispetto e dall’uguaglianza, per questa
fede hai sacrificato la tua vita, per questa fede il tuo cuore tornerà
a battere e la rosa blu sarà il tuo simbolo. Da questo giorno
sarai il Cavaliere del Rispetto e sarai araldo della mia parola».
Devozione
Si narra di un uomo, Acate, vissuto tanto tempo fa
nelle terre di Extremelot. La vita aveva riservato ad Acate una strana
sorte, un cammino con molti ostacoli, diversi inciampi: di buona famiglia,
aveva ricevuto in eredità diverse terre, che faceva coltivare
ai contadini del luogo. La terra gli portava agiatezza e benessere
e viveva senza difficoltà; di animo magnanimo e di buon cuore,
aveva un rapporto di stretto legame con la sua servitù e con
i contadini che lavoravano sotto di lui. Acate si reputava fortunato,
perchè aveva una moglie stupenda e dei figli che gli davano
solo soddisfazioni e nessun problema; insomma, la sua vita sembrava
davvero perfetta e di questo ringraziava ogni giorno Themis e la sua
fede era salda e profonda. Ma l’invidia serpeggia nell’animo
e nella mante di molti individui, i cui occhi non tardarono a posarsi
sul buon Acate. Tanto poterono la calunnia, l’invidia e la prepotenza
che Acate si ritrovò privato delle proprie terre e dei propri
averi, mentre uno dei suoi figli fu ucciso a tradimento da falsi amici;
come se non bastasse, sua moglie si ammalò e rimase quasi cieca.
La forza d’animo e il coraggio sono doti di pochi e quanto ne
dimostrò Acate è cosa più unica che rara. La
sua fede era fonte inesauribile di forza e di speranza e la bontà
e umanità che aveva mostrate in tempo di buona fortuna lo avevano
circondato di persone fidate, amici veri, nutriti di affetto reciproco:
tutti quelli che un tempo lavoravano per Acate adesso gli erano intorno
e lo aiutavano, come lui aveva aiutato loro. Il poveruomo non si arrabbiò
con la Dea, perchè sapeva che se la sorte gli aveva voltato
le spalle era di certo perchè in passato aveva fatto scelte
sbagliate; al contrario, adesso capiva che la sua unica ricchezza
era la fede in Themis, che mai l’aveva abbandonato; e a chi
gli chiedeva come mai continuasse a riporre fiducia in Themis, visto
ciò che gli era accaduto, lui rispondeva che la Dea non aveva
mai smesso un minuto di credere in lui e questo gli bastava. Venne
il giorno in cui la moglie di Acate morì; mentre l’uomo,
oramai invecchiato, piangeva il lutto e pregava la Dea, Themis gli
apparve, circondata dai suoi angeli più vicini e lo chiamò:
«Acate,
nella tua vita ti sei trovato ad affrontare eventi di ogni tipo e,
in ogni vicenda, mai è venuta meno la tua fede in me; la tua
Devozione sarà un esempio per tutti e tu porterai la mia parola!
Adesso và dove i miei angeli ti indicheranno!»
Detto
ciò, scomparve. Acate smise di piangere e nei suoi occhi brillò
nuova luce; guardò gli angeli e si mise in cammino.
L’Ancella di Themis
Non
molte lune erano passate da ché tutte le razze erano comparse
a popolare le terre conosciute. In una delle tante pianure, ai piedi
di una catena montuosa non troppo elevata, un villaggio come tanti.
Qui viveva Brildiliel, una graziosa fanciulla, di indole sincera e
sensibile, ma allo stesso tempo dalla grande forza di spirito. Il
sorriso che sempre l’accompagnava costituiva il suo saluto,
chiunque ella incontrasse, anche se ciò non sempre veniva apprezzato.
Ma d’altronde si sa che, fino dai principi delle cose, mai vi
fu una unità di ideali tra le genti: il male si è scisso
dal bene e ad esso sempre si contrappone. E già accadeva che
le forze oscure facessero la loro comparsa: guidate dall’invidia
e dalla sete di potere orde di orchi e goblin flagellavano le terre.
Simeht, il loro creatore e padrone delle loro menti, dominava le oscure
schiere. Così accadde che tra le genti nascessero discordanze,
e alcune di esse abbracciarono l’oscurità. Ma Themis
è dea benevola e di giustizia. Così accade che una notte
estiva Brildiliel si inoltrasse nel bosco alla ricerca di refrigerio.
La notte era calma e tranquilla, la falce di luna alta in cielo, seppure
esile, come un faro brillava nel buio, contornata da innumerevoli
stelle. Qui, lontano dallo sferragliare degli armamenti, il silenzio
era rotto soltanto dai melodiosi fischi degli uccelli notturni, dal
frusciare dei rami alla lieve e mite brezzolina e dal lontano scorrere
ininterrotto delle acque di un ruscello. Brildiliel, stesa tra i fiori
sull’erba umida del bosco, tra la fronde degli alberi osservava
la falce di luna alta in cielo. Ma qualcosa di insolito e particolare
videro i suoi occhi e sentirono le sue orecchie. Forse ella si era
addormentata e si trattò di un sogno, forse si trattò
della pura realtà. Essa vide una donna, leggiadra e severa,
i lunghi capelli sovrastati da una luminosa corona, come fosse incastonata
di stelle, apparire proprio sotto lo spicchio di luna che dominava
il cielo in quella notte.
Una
sensazione di calma e di piacevole distacco ma anche una percezione
di grande e smisurato potere si impadronirono di Brildiliel, ed ella
non poté far altro che rimanere immobile, non essendo possibile
nessuna altra cosa.
Sotto
la donna ella vide sette cavalieri, ciascuno diverso dagli altri nelle
fattezze e nell’abbigliamento, che camminavano assieme come
punti luminosi nell’oscurità, e la sovrastante regina
li sosteneva nel loro cammino col solo suo sguardo. Poi alcune parole,
scandite da una voce melodiosa come musica, ruppero il silenzio e
Brildiliel, nonostante la donna che appariva ai suoi occhi restasse
immobile e imperturbabile, capì che quelle parole così
chiare e armoniose venivano da Lei, ed erano rivolte al suo cuore.
«Corti
sono gli sguardi di molti, e brevi e fugaci le loro memorie. Il male
trova terreno fertile sul suo cammino, poiché i miei principi
vengono traditi, i miei insegnamenti dimenticati, e la fiducia riposta
da coloro in me va diminuendo, e con essa la loro forza e vitalità».
Le
figure davanti agli occhi di Brildiliel si confusero fino a svanire,
lasciando il posto alla visione di una sorgente impetuosa di limpida
acqua, mentre la voce riprendeva:
«Come
acqua che sgorga limpida e impetuosa da una sorgiva montana, così
la vita dovrà rinascere in coloro che brancolano nelle tenebre»
La
sorgente si dissolse ed al suo posto Brildiliel vide apparire un fuoco
che bruciava rigoglioso scoppiettando.
«Come
un fuoco che arde rigoglioso, la mia luce arderà vigorosa nei
vostri cuori, non lasciate che si spenga mai»
Di
nuovo apparve agli occhi di Brildiliel il volto femminile che per
primo era apparso,e questa volta le sorrideva guardandola negli occhi,
con uno sguardo che andava ben più a fondo.
«Portate
sempre alto il mio nome e mantenete viva la mia immagine, mostrandovi
sempre disposte ad ascoltare ed aiutare tutti indifferentemente, perchè
solo così la mia luce potrà giungere e palesarsi agli
occhi di tutti, ed il male sarà sconfitto».
Al
fare del giorno, tra i cinguettii degli uccellini e la lieve carezza
del vento estivo, Brildiliel si svegliò, serena nell’animo,
incerta se aveva sognato oppure no. Ma non le importava scoprirlo,
adesso sapeva cosa doveva fare. Quella mattina, tornata nel villaggio,
Brildiliel si recò al piccolo tempio dedicato a Themis che
sorgeva in un piccolo giardino e qui rimase a meditare. Nei giorni
seguenti radunò attorno a sé alcune fanciulle di provata
serietà e con esse diede vita a ciò che aveva visto
e che - immaginava - fosse il desiderio dell’apparizione della
notte precedente. Nel tempietto sistemarono un piccolo braciere sul
quale fu acceso un rigoglioso fuoco, affinché ricordasse a
tutti che la luce di Themis arde sempre intensa; similmente una piccola
vasca fu sistemata colma di acqua limpida di ruscello che sgorgava
fresco e imperituro da secoli in quel giardino, affinché fosse
per tutti simbolo di rinascita e di purezza; e di queste esse stesse
si presero sempre cura. Innalzarono canti e lodi a Themis, affinché
fossero di conforto e di insegnamento per tutti, perchè Themis
è grande e giusto è il suo operato.
Vestali
furono chiamate tali fanciulle che tenevano viva l’immagine
della Dea e che, pur lontano dai campi di battaglia, combattevano
anch’esse contro le forze del male che si annidano nell’Ombra
e nei cuori dei malvagi.
L’avvento della Vita
[…
]…con la mia arpa di luce mi son seduta lontano da dove le mie
sorelle riposano, la mia melodia rimarrebbe comunque nel mio animo,
non potrebbe in alcun modo disturbarle, ma mi sono allontanata lo
stesso nel buio del cielo. Mi stupisco che la Madre non sia attorno
a me, lei sa sempre dove Yiunel, piccola ancella, va a suonare nel
silenzio e nel buio. Ma non questa notte, non avverto la sua luce
dentro di me…[ ...]
[…]…Uri
e Neft sembrano dormire, Luri invece osserva come sto facendo io,
in disparte, trattenendo al massimo la sua luce per non violare un
attimo che sembra tanto prezioso. E’ scorgendo la Luna Bianca
che ho visto la Madre, celata nel suo grande mantello, che questa
volta, per la prima volta, l’avvolge di una tenebra che mai
avevo vista. Lascio la mia arpa e provo a scorgere le mie sorelle.
Sento le loro aure candide riposare lontane, sono sola ed estasiata
per quello che sto per vedere, e che proverò a raccontare:
La Madre è completamente avvolta dal mantello divenuto nero
come notte, neppure nella sua Ira ho visto qualcosa di simile, sono
la sua ancella, la Madre sa tutto, saprà che sto osservando,
ma non mi parla.
[…]…la
mano bianchissima esce dal mantello, la vedo roteare per qualche attimo
nel buio totale, sfiora il mantello che subito si stria di una luce
azzurra intensa, non la solita aura rasserenante della Madre …qualcosa
di grande sta per accadere, io sono l’unica con la Luna Luri
a vedere questo grande prodigio …
La
mano Divina accarezza ancora il mantello,in un attimo ne estrae un
raggio di luce, come filo di seta nelle sue mani, come essenza della
sua stessa Vita, tutto attorno è tenebra, non vedo il Volto
di Lei; solo quel piccolo e azzurro nastro sottile, Luce della Luce,
Amore dell’Amore Supremo. Vedo la mano stringere quel filamento
prezioso, roteare lentamente, un movimento morbido come acqua di torrente
e d’improvviso davanti alla Madre la luce azzurra si trasforma
in una creatura tangibile, posso vederla bene davanti a me. Un corpo
piccolo, così simile a Lei, gli stessi occhi, i capelli, solo
più piccolo e con un corpo fatto non di Luce, ma bensì
tangibile…[…]
[…]…nel
mio animo finalmente sento la voce della Dea, sta sussurrando alla
creatura che ha appena plasmato dal suo mantello.
Sento
la sua Voce, perché Lei vuole che ascolti …”Sarai
Uomo e Donna, sarai la mia prima ed inestinguibile creatura perfetta,
popolerai in pace il mio Creato con le altre mie creature, che presto
ti affiancherò”. La strana figura, in tutto simile alla
Madre, non si è mossa, ancora privo di vita, ma la Madre ha
acceso in essa la fiamma della sua Maternità. La Destra di
Themis esce dalle pieghe del mantello, mentre la sinistra è
poggiata sulla testa di quello che sarà l’Uomo; la mano
destra oscilla nel cielo, e con mio stupore la vedo raccogliere una
ad una le stelle del Universo, lentamente, si lasciano abbracciare
dalla stretta potente di Colei che tutto ha creato. Tenuta la mano
alta a coppa, una luce intensa di migliaia di astri sembrano brillare
come una fiaccola, brillano come gli occhi della Madre, brillano della
Sua perfetta letizia. Ed all’improvviso, la mano destra si inclina
verso il basso, ad una ad una le stelle iniziano a cadere giù;
appena la prima colpisce l’Uomo, un manto di luce lo avvolge
dalla testa ai piedi, la Sinistra di Themis sempre su di lui. La Creatura
perfetta sbatte gli occhi una volta, e subito la vedo scomparire e
al suo posto apparire una Creatura nuova, simile, sempre un Uomo,
e subito un’altra stella cade su di lui, dandogli la vita. E
come un fiume in piena cade in migliaia di gocce, così ogni
stella dell’Universo cade donando vita, in un fiume di Amore
perfetto…[…]
[…]…infinito
tempo dopo, io, Yiunel, ancella musica della Madre Themis, narro il
momento in cui Lei, mia Dea e mio Tutto, ha creato la Vita per il
suo Creato. Nella sua infinita saggezza mi ha dato il compito di lasciare
inciso per sempre quel momento, per tutti coloro che sentiranno sempre
una stella ardente nel proprio animo…[…]
A
seguito del brano, erano presenti queste note che noi fedelmente riportiamo:
Questo
brano è stato trovato, poco tempo dopo il resto di tutto il
Libro Sacro, in una caverna sperduta, sulle montagne, sulla lunga
strada che conduce fuori dalla gola dei Ghiacci. Era inciso su un
grande mantello bianchissimo,solo leggermente strappato in alcune
parti di cui sono andati persi i testi; i caratteri di un azzurro
tenue, impressi sulla stoffa come se vi fossero nati sopra, non dipinti,
non intrecciati e neppure ricamati sopra. I caratteri di questo Sacro
testo, incomprensibili ai più, sono stati tradotti dagli angeli
Cavalieri della Divina Themis, gli unici in grado di leggere gli antichi
simboli che lo componevano. Null’altro si sa dell’angelo
Yuniel, se non che forse è stata l’unica figlia di Themis,
assieme alla grande e bianca Luri, ad assistere al dono più
grande, quello della Vita. E anche in questo dono, unico ed irrinunciabile,
la Dea ha posto tutta la Sua natura di Madre, attingendo a tutti i
suoi averi per creare figli che fossero in intima comunione con Lei.
Dal perfetto mantello sono nate le moltitudini che oggi affollano
il Suo Creato, e dalla luce delle stelle tutti hanno preso l’effluvio
vitale. Themis ha plasmato ed intrecciato seta di Luce, a ciascuno
ha donato la perfezione che scaturisce dal suo mantello divino; ma
a ciascuno ha anche donato la luce di una stella, per non cadere mai
nelle tenebre. La Madre accetta che la Perfezione sia stata violata
dalle tenebre di Simeht, ma non perdona coloro che violano creature
sorelle nate dallo stesso mantello, ed illuminate da una stella gemella.
La Vita come ultimo dono di Themis, abbiamo ricevuto senza nulla chiedere
un raggio di luce dell’Universo; senza chiedere nulla dovremo
donare a nostra volta un raggio di luce della nostra esistenza.